Clinica

Malattie del Motoneurone:

Le Malattie del Motoneurone rappresentano un gruppo eterogeneo di malattie di cui la più conosciuta è la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Malattia erroneamente considerata rara (incidenza 2-3 casi per 100.000), la SLA ha una ridotta prevalenza perché a rapido ed inesorabile decorso. Negli ultimi anni la definizione delle forme familiari geneticamente correlate è notevolmente evoluta dopo il riconoscimento che la SLA presenta nel 40% dei casi circa anche un coinvolgimento cognitivo-comportamentale. Le basi biologiche, segnate dall’identificazione di comuni inclusioni della proteina TDP-43 nei tessuti affetti, ha definitivamente indicato un continuum tra due patologie prima considerate molto lontane, come la Demenza Frontotemporale (FTD) e la SLA. I confini genetici della SLA sono oggi notevolmente estesi e comprendono una serie di geni che vanno a coinvolgere l’ FTD anche per parte delle forme sporadiche. La recente scoperta del gene C9orf72 ha ulteriormente esteso i confini della SLA e cambiato il nostro modo di concepire le malattie neurodegenerative: un singolo gene può avere diverse espressioni fenotipiche cliniche che spaziano dal coinvolgimento motoneuronale a quello corticale (FTD) od extrapiramidale (Parkinsonismi). Il nuovo scenario, emerso grazie all’ impulso delle recenti scoperte genetiche relative alla SLA, ha influenzato l’ approccio clinico modernizzandolo verso una definizione più personalizzata del paziente in rapporto ai meccanismi molecolari responsabili della diversa espressione clinica. La diagnostica clinica delle diverse forme ora richiede lo studio approfondito di ogni possibile marcatore biologico (DNA, siero, liquor) dal Paziente fino al collezionamento di biopsie muscolari e cutanee per ottenere colture di fibroblasti da cui ottenere cellule staminali pluripotenti (iPSC).  La disponibilità di ampie banche di DNA correlata dalla attenta raccolta di dati clinici ha permesso, sfruttando le nuove veloci tecnologie di analisi degli acidi nucleici, di caratterizzare la frequenza mutazionale di diversi geni nella popolazione italiana oltre che di identificare nuovi geni causativi (Profilina 1). Lo studio delle forme sporadiche apparentemente senza trasmissione genetica di tipo mendeliano appare più complessa, ma diversi approcci sono stati da noi sviluppati. La rivoluzione conoscitiva degli ultimi anni non ha ancora trovato una corresponsione adeguata nella definizione di nuovi approcci terapeutici, ma ha portato alla definizione di comuni meccanismi patogenetici tra forme sporadiche e familiari, in primis la formazione di aggregati della proteina TDP-43. Ciò rappresenta certamente un importante preliminare per il disegno di nuove strategie terapeutiche. Recentemente sono state avviate terapie con molecole volte a correggere il deficit dell’enzima SOD1 legato a mutazioni genetiche, ed altre molecole sono in avanzata fase di studio per essere applicate al Paziente.

 

Disturbi Cognitivo Comportamentali

I disturbi cognitivi rappresentano un problema sociale di particolare rilievo nella popolazione Italiana e la Malattia di Alzheimer, unitamente alla demenza Frontotemporale (FTD) e Cerebrovascolare, rappresentano un campo di particolare interesse cui la clinica dedica un vasto investimento di risorse volte a definire le basi molecolari delle diverse forme. In particolare, la  sovrapposizione patogenetica di SLA e FTD ha indirizzato lo sforzo per definire comuni basi molecolari per le due affezioni. La ricerca del coinvolgimento motoneuronale  nelle FTD  e, viceversa, la definizione di disturbi cognitivo-comportamentali nella SLA caratterizzano lo sviluppo delle moderne neuroscienze ed il nostro approccio clinico. L’ affinamento della valutazione neuropsicologica anche con l’ intervento di tecnologia avanzata (Brain-Computer Interface o BCI)  viene complementato da una valutazione neuroradiologica anche non convenzionale (PET) e dalla ricerca di biomarcatori specifici sierici e liquorali. La ricerca, in particolare, di biomarcatori liquorali specifici fornisce grande aiuto alla formulazione diagnostica della Malattia di Alzheimer. Di notevole interesse per le basi molecolari comuni con la Malattia di Alzheimer risulta lo studio della  Angiopatia Amiloide Cerebrale a cui ci siamo dedicati nella clinica e genetica per scoprire i meccanismi molecolari responsabili della espressione vasale o parenchimale della proteina amiloide. L’ avanzamento conoscitivo molecolare rappresenta il preliminare per la definizione di nuovi approcci terapeutici particolarmente inesistenti per quanto riguarda l’ FTD.

Grazie al servizio di Neuropsicologia e Psicologia Clinica, coordinato dalla Dott.ssa Barbara Poletti insieme alle Dott.sse Annalisa Lafronza, Federica Solca e Laura Carelli (PhD), la nostra Unità non solo si avvale di un’importante supporto per la diagnostica clinica e riabilitativa, ma ha anche avviato progetti di ricerca in collaborazione con altri Istituti internazionali. In particolare il progetto internazionale ‘eBrain: BCI-ET nella SLA’ è volto a realizzare e validare su un campione clinico un protocollo di “assessment” cognitivo basato sull’impiego di due innovative metodiche (Brain Computer Interface e Eye-Tracker), al fine di consentire la valutazione neuropsicologica di pazienti affetti da SLA durante tutto il decorso di malattia. Le limitazioni verbo-motorie presenti hanno, infatti, fino ad oggi impedito un’omogenea valutazione neuropsicologica dei pazienti affetti da SLA mediante la testistica tradizionale. Lo studio ‘Highcare’, condotto al campo base dell’Everest (2008), e lo studio ‘Highcare Alps’, condotto sul Monte Rosa (2010), hanno invece investigato i cambiamenti cognitivi e psico-emotivi conseguenti all’esposizione a condizioni di ipossia ipobarica in alta quota in partecipanti sani, quale modello sperimentale dei cambiamenti funzionali cognitivi presenti in condizioni cliniche caratterizzate da ridotto apporto di ossigeno al cervello (apnea ostruttiva del sonno, danno cerebrovascolare). I risultati hanno confermato una maggior sensibilità dell’assessment computerizzato (Eye-Tracker), rispetto alle prove tradizionali, nel rilevare le alterazioni cognitive presenti, con l’evidenza di un coinvolgimento specifico dell’efficienza frontale.

Malattia di Parkinson e Parkinsonismi

La corretta e moderna definizione delle affezioni extrapiramidali richiede un sofisticato ed aggiornato orientamento clinico per definire, in particolare, le diverse forme di Parkinson-plus che spesso comportano un’ accurata diagnosi clinica con supporto di prove strumentali. Di particolare rilievo la definizione della Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP), dell’ Atrofia Multisistemica (MSA) e della Sindrome Cortico-Basale. Il particolare interesse alle forme extrapiramidali parte da un corretto inquadramento clinico con attenzione alle note di decadimento cognitivo-comportamentale con successivo collezionamento di potenziali biomarcatori sierico-liquorali e con l’utilizzo della neuroradiologia anche non convenzionale per dirimere specifici casi clinici. L’ attenzione alle forme familiari, anche in una prospettiva più ampia di sovrapposizione con patologie dementigene, suggerisce la raccolta di DNA e l’ eventuale analisi genetica per specifiche mutazioni, non ultimi i geni C9orf72 e GBA1, riconosciuti essere coinvolti nelle patologie extrapiramidali.

Malattia di Huntington

La Malattia di Huntington (MdH) è una patologia neurologica ereditaria che causa la progressiva disfunzione e la perdita di neuroni in diverse aree del cervello. La malattia venne descritta per la prima volta dal medico George Huntington che nel 1872 ne descrisse i principali aspetti clinici: la comparsa di disturbi comportamentali, i deficit cognitivi e le alterazioni del movimento. Nel 1993 venne identificata la causa della Malattia di Huntington nella mutazione di un gene chiamato IT-15 localizzato sul braccio corto del cromosoma 4. Da allora molto si è compreso sui meccanismi molecolari che portano alla progressiva perdita delle cellule neuronali, sebbene non sia ancora disponibile una cura efficace nel rallentare il progredire o prevenire l’esordio della malattia nei pazienti portatori della mutazione. Tuttavia, ad oggi esistono numerosi farmaci in grado di ridurre significativamente i sintomi motori e psichiatrici e migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti affetti da MdH. Il Laboratorio di Neuroscienze si è particolarmente dedicato recentemente a definire i meccanismi molecolari di disfunzione mitocondriale della Malattia di Huntington. Lo scopo della ricerca è quello di individuare i meccanismi molecolari tramite cui la proteina huntingtina mutata comporta la disfunzione mitocondriale. L’identificazione dei meccanismi molecolari è alla base della messa a punto di eventuali strategie terapeutiche.

Cellule Staminali

Nell’ultimo decennio le cellule staminali hanno rappresentato una nuova frontiera della medicina per riparare organi o tessuti danneggiati da malattie, in particolare degenerative. Le cellule staminali sono cellule indifferenziate che hanno generalmente il compito di rigenerare l’organo o il tessuto in cui risiedono, ma che potenzialmente potrebbero differenziare in qualsiasi tipo tissutale, se sottoposte ad opportuni stimoli. Le cellule staminali emopoietiche e da cordone ombelicale sono ad esempio attualmente ampiamente utilizzate a scopo terapeutico nelle malattie ematologiche ed in un futuro cellule staminali di diversa origine potrebbero rappresentare una concreta speranza per sconfiggere malattie che fino a ieri parevano incurabili. La rigenerazione tissutale può avvenire attraverso meccanismi diversi. Le cellule danneggiate possono essere sostituite mediante il differenziamento di cellule pluripotenti. A tale scopo, le cellule con maggiori potenzialità sono quelle embrionali, il cui utilizzo è però limitato dalle problematiche di carattere etico ad esse correlate. Una valida alternativa è costituita dalle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Queste sono originate da fibroblasti adulti riprogrammati in cellule pluripotenti e presentano caratteristiche molto simili alle cellule embrionali. Anche le cellule staminali adulte, pur presentando capacità differenziative minori se paragonate alle embrionali o alle iPSC, possono risultare molto utili per la terapia cellulare attraverso un meccanismo di protezione o di stimolo alla rigenerazione endogena. Numerose e crescenti sono infatti le indicazioni che, in seguito al trapianto di cellule staminali adulte, quali ad esempio le cellule staminali mesenchimali provenienti da midollo osseo, sia possibile agire modificando le condizioni tossiche dell’area lesa attraverso la secrezione di fattori trofici o protettivi.




Area di ricerca

U.O. Neurologia – Stroke Unit

Contattaci