Esiste un collegamento più forte di quello che si possa pensare tra l’universo delle malattie di accumulo e quello delle malattie neurodegenerative?
Uno studio svolto dal team del Prof. Elio Scarpini, Responsabile del Centro Disturbi Cognitivi e Demenze del “Centro Dino Ferrari” Università degli Studi di Milano – Ospedale Policlinico, ha provato a rispondere a questa domanda.
Il lavoro, recentemente pubblicato su Journal of Alzheimer’s Disease, ha infatti indagato, in pazienti con malattia di Alzheimer, la frequenza delle mutazioni in eterozigosi di NPC1 e NPC2, due geni che, quando sono alterati in omozigosi, danno luogo alla malattia di Niemann Pick di tipo C, una patologia da accumulo molto rara e grave che comporta l’impossibilità di metabolizzare in modo corretto il colesterolo e, conseguentemente, causa il suo accumulo nel fegato, nella milza e in altri organi.
«Questa malattia presenta alcuni punti di contatto con l’Alzheimer» ha spiegato il Dott. Andrea Arighi, neurologo del “Centro Dino Ferrari”, e in particolare:
1. Familiarità: osservazioni cliniche hanno mostrato che nelle famiglie di soggetti con malattia di Niemann Pick c’è un alto numero di persone con malattia di Alzheimer.
2. Neuropatologia simile: in entrambe le malattie si osserva un deposito di proteine patologiche, β-amiloide e proteina Tau.
3. Metabolismo del colesterolo: nella malattia di Niemann Pick si riscontra un’alterazione metabolica con accumulo di colesterolo intracellulare, mentre è noto che uno dei principali fattori di rischio genetici della malattia di Alzheimer sia il gene ApoE, che codifica per una proteina che si occupa del trasporto del colesterolo.
Lo studio ha preso in considerazione una coorte composta da 136 pazienti con malattia di Alzheimer e 200 soggetti anziani sani. Attraverso un’analisi genetica, si è osservato che nella popolazione sana la frequenza delle mutazioni in eterozigosi di NPC1 e NPC2 era pari all’1,5%, mentre nei pazienti con Alzheimer la percentuale era maggiore, pari al 5,2% (7 pazienti su 136).
L’analisi ha quindi confermato che la frequenza di varianti genetiche nei soggetti con Alzheimer è più alta che nella popolazione normale e, inoltre, ha messo in luce che è associata a un fenotipo clinico comportamentale, oltre che a declino cognitivo. Infatti, 5 dei 7 pazienti con mutazione avevano anche fenotipi caratterizzati da disturbi comportamentali gravi, quali forte agitazione e aggressività, generalmente non propri della malattia di Alzheimer nella fase iniziale.
In conclusione, lo studio ha consentito di evidenziare che mutazioni di NPC1 e NPC2 possono essere un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia di Alzheimer. «Un’ipotesi affascinante» – ha commentato il Dott. Arighi – «che allarga lo spettro di patologie associate al gene NPC e che potrebbe ripercorrere quello che accade con il gene GBA: un gene che se alterato in omozigosi comporta una patologia da accumulo, la malattia di Gaucher, mentre in eterozigosi è responsabile della malattia di Parkinson».
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